giovedì 23 febbraio 2012

Intervista a Claudio Volpe


Abbiamo avuto modo di intervistare Claudio Volpe, autore alla sua prima pubblicazione con il romanzo Il vuoto intorno, edito dalle edizioni Il Foglio Letterario. Un libro di cui, a breve, verrà tratta un’opera teatrale. Un libro crudo e forte, di cui avrete la possibilità di capire qualcosa leggendo quest’intervista.
Claudio Volpe, ventunenne, scrittore esordiente. Come ti suona questa frase?
Strana. Per l’esordiente non c’è alcun problema. È lo “scrittore” che mi spaventa. Mi piacerebbe sicuramente esserlo pienamente ma per ora diciamo che sto iniziando a percorrere la lunga strada della parola, del pensiero, dei versi, delle immagini, delle storie raccontate con forza e rispetto. Esordire a vent’anni è sicuramente una grande emozione, farlo a certi livelli ancora di più ma è anche un grande impegno, una grande responsabilità. Un pensiero fisso per il resto della vita. Devi riuscire a non smentirti, a non ripeterti e a non deludere nel futuro. Ma anche il presente è un bel rischio. Devi dimostrare che a vent’anni, che nonostante i vent’anni, hai qualcosa da dire, da dimostrare, da far comprendere al pubblico dei lettori, all’altro. Bisogna convincere i lettori adulti che un ragazzo di vent’anni è in grado di scrivere qualcosa di interessante, qualcosa che probabilmente neanche scrittori veterani e affermati sarebbero in grado di scrivere, e al contempo convincere i lettori giovani, della tua stessa età, che tu, proprio come loro hai infiniti mondi dentro, racchiusi uno dentro l’altro come le matrioske. La giovane età, l’inesperienza, la follia, la non ancora avviata degenerazione verso la disillusione sono un vantaggio. Un valore.
Gordiano Lupi, un editore che scommette sui giovani. Quanto è stato emozionante venire a sapere che ti avrebbe pubblicato?
Molto, forse troppo. Io ho avuto davvero poca possibilità di rendermi davvero conto che Gordiano Lupi, il Gordiano lupi de Il Foglio letterario, de la Stampa e traduttore per l’Italia di Yoani Sanchez, aveva deciso di pubblicarmi e mi aveva telefonato dopo soli tre o quattro giorni dall’invio del mio manoscritto. È avvenuto tutto così velocemente da stordirmi… Forse me lo sono meritato però… è quello che mi dicono coloro che già hanno letto Il vuoto intorno: “Mi hai stordito con questo romanzo… ora devo respirare”.
L’inferno e il paradiso sono una tematica trattata da migliaia di anni; la tua idea, che è originale, com’è arrivata?
Non credo che sia arrivata. È sempre stata lì dentro di me. Inferno e paradiso, male e bene, morte e risurrezione sono da sempre dentro di noi, dentro l’uomo anche se qualcuno finge o cerca disperatamente di non accorgersene. Ognuno di noi è fatto di male e di bene, e male e bene hanno entrambi un’importanza fondamentale. Il bene c’è perché esiste il suo opposto, il male, che permette di poterlo riconoscere. Come la luce che esiste solo perché è in grado di prendere il posto del buio. Il romanzo racconta la storia di distruzione di un ragazzo padre che sente il bisogno di annientare se stesso e la propria dignità per poter rinascere e acquisire nuova e compiuta consapevolezza di sé. È la storia di tante vite storte, sbagliate, assurde dove l’oscenità e la follia divengono un valore, la salvezza dalla morte. La salvezza dal nulla.
Era tua intenzione far riflettere il lettore, o sono solo parole capitate nel giusto contesto narrativo?
Era mia intenzione far riflettere e “disturbare” il lettore, fargli sentire il male della storia nella pelle, nelle vene, nella mente perché la vita, come la parola, colpisce non solo al cuore ma anche al corpo. La scrittura è una gioia dolorosa, un sentire straripante che ti spinge ad andare avanti nonostante il male che si può incontrare.
Un libro che è venuto fuori in 10 giorni, poi, quanto ci hai messo per la riscrittura?
Anche per la riscrittura ho impiegato poco tempo. Il lavoro di correzione e riscrittura che ho fatto è stato diretto principalmente ad attuare una ripulitura stilistica del testo. Ho smussato alcuni spigoli (pochi perché volevo che questo romanzo fosse appuntito), ho risolto alcune incongruenze nella trama che inevitabilmente sono venute fuori e ho letto e riletto tante volte ad alta voce il testo per sentirne il suono. Il genere di romanzi che amo sono quelli che assomigliano ad una lunga poesia. Musicalità alternata a singhiozzi, velocità mista a pesantezza. Volevo che le parole avessero un loro peso, una loro importanza e una loro corposità. Solo quando hanno una loro consistenza materiale le parole sono in grado di colpire, di entrare dentro, nell’anima e di scavarvi con forza.
Prossime presentazioni?
Il 2 settembre sarò ad Agropoli, il paese dove per una parte è ambientato il romanzo, nell’ambito del “Settembre culturale al castello”, un’importante manifestazione culturale della durata di un intero mese dove l’arte in tutte le sue manifestazioni sarà protagonista indiscussa. Tra settembre e ottobre ci sarà una nuova presentazione a Pontinia al Teatro Fellini dove Il vuoto intorno diverrà anche uno spettacolo teatrale. Poi ci saranno le date di Latina, Roma, forse Torino e Milano e spero tante altre.
I tuoi autori preferiti?
Amo la letteratura italiana perché ha la caratteristica, di solito, di non essere veloce e disimpegnata. Amo gli autori le cui opere hanno un certo peso al loro interno, il peso del dolore dell’uomo, della ricerca della propria dignità, della vita. Amo le storie contundenti che ti stordiscono. Cerco di leggere un po’ di tutto, sia per quanto riguarda i generi letterari che gli autori. La mia autrice contemporanea preferita è senza dubbio la Mazzantini. Non so spiegarne il perché: è così e basta. Tra gli autori passati apprezzo molto Pirandello e il suo pensiero profondo, la sua acutezza.
Cos’hai sul comodino?
Una pila di circa venti libri acquistati durante questi giorni e in attesa di essere letti. In cima c’è Sangue di cane della Tomassini. L’ho iniziato a leggere e lo trovo davvero speciale, di rara bellezza, spero di poterlo terminare a breve (università permettendo). Alla base della pila ci sono una serie di romanzi russi che ho deciso di leggere durante l’estate. Non l’ho ancora fatto. Credo che ogni libro richieda una specifica preparazione e uno specifico momento della vita per essere letto.
Come ti vedi da qui a cinque anni?
Per ora non mi vedo. Vivo quello che viene. Talvolta siamo così presi dal pensare a come progettare il futuro che finiamo per dimenticarci della bellezza del presente. Dimentichiamo di dover essere felici per quello che ci accade nell’ora, nell’adesso. È vero che il futuro è ciò che maggiormente ci interessa perché è il posto nel quale dobbiamo passare il resto della nostra vita, ma è pur vero che il presente ha il suo perché. Il presente è la chiave che apre la porta verso il futuro.
Una domanda che avresti voluto ti facessi?
“Perché nel tuo romanzo si parla così tanto del dolore?” Se mi avessi fatto questa domanda ti avrei risposto che parlare del dolore è necessario, indispensabile. Il dolore, come il male, gambizza l’uomo, lo rende un animale, una cosa, lo priva della sua dignità. Mariapia Veladiano, finalista al Premio Strega di quest’anno, in una sua presentazione ha detto che l’unica soluzione per evitare che il male si propaghi è farlo morire in sé, accettarlo dentro di noi e bloccarlo, ibernarlo, farlo morire evitando così che esso passi ad infettare qualcun altro. Ecco, io credo che scrivere e parlare del dolore sia un buon modo per iniziare a far morire il male in sé. Far finta di niente, fingere che il dolore non esista o che sia solo transitorio in virtù della ricerca di un antidestino nel quale l’uomo, smettendo di essere tale, si proietti verso l’immortalità e verso il mito della salute perfetta, non ha alcun senso. L’uomo è meraviglioso proprio perché mortale e precario. La precarietà dà valore alla vita perché la rende preziosa. L’imperfezione è un vantaggio. È in essa che risiede la dignità di ognuno di noi.

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