Il suono delle parole scritte da Lorenza Ghinelli vibra piacevole e
riconoscibilissimo in ogni suo libro; una melodia avvolgente, ipnotica,
in grado di inserire colori vivi e forti tra le lettere stampate nero su
bianco. Potrebbe persino accadere di dimenticarsi della storia in sé
perché folgorati da questo quadro che prende forza sotto i nostri occhi.
Per entrare in questo stato d’animo non c’è nemmeno bisogno di iniziare
a leggere il primo capitolo del suo ultimo romanzo,
La Colpa,
basta soffermarsi sulla dedica: “A Bri, che sovvertì un’estate violenta
a colpi di colore”, una frase forte, quasi fosse un pre-prologo, un amo
pronto a catturare l’ignaro lettore che dovesse casualmente trovarsi
tra le mani questo romanzo in libreria.
La Colpa è uno di quei romanzi che una volta letti vorresti
andare a stringere la mano all’autrice, curiosare un po’ nella sua vita,
conoscerla, ed è per questo che sono sorte spontanee alcune domande:
Di solito scrivi di getto o lavori a una storia per diversi mesi?
La stesura di un libro è molto simile, per me, a una gestazione. La
storia mi abita per anni, anni in cui non tocco la pagina bianca, poi,
quando decido di affrontarla, in genere sono un fiume in piena. Ad ogni
modo prima aspetto che la storia si formi dentro me. La stesura mi
richiede comunque diversi mesi.
Nel caso specifico de La Colpa, come si fa a
scrivere e quindi mandare avanti un romanzo senza lasciarsi travolgere
dalle emozioni? Ad esempio in molti cambiano canale quando al
telegiornale sentono parlare di abusi sui bambini…
Non lasciarsi travolgere dalle emozioni è impossibile, ma è
necessario imparare a gestirle, altrimenti la narrazione rimane
autoreferenziale, e questo sarebbe letale. Per trasmettere quello che
desidero devo prima di tutto conoscerlo, e conoscere davvero qualcosa
significa avere in gran parte superato quella soglia capace di
ricatapultarti in un dolore sordo. Il mio romanzo parla anche di abusi,
ma soprattutto indaga strade possibili per frantumare le catene di
violenza con cui alcuni dei miei personaggi sono stati allattati.
La Colpa (se mi ricordo bene) l’hai scritto tra la pubblicazione de Il divoratore
per Il Foglio e la ripubblicazione per Newton Compton. Hai qualche
ricordo particolare di quel periodo? Come sei arrivata a questa storia?
Quando pubblicai
Il Divoratore per la Newton,
La Colpa
era già conclusa. La terminai quando vivevo ancora a Rimini e lavoravo
come educatrice sociale. Era una storia che mi abitava da tempo, i
romanzi sono una cosa privata, anzi, privatissima, le storie che portano
a galla vengono per stanare le nostre parti più oscure, quelle che nel
quotidiano troppo spesso siamo costretti a soffocare, o quanto meno a
sedare. La narrativa è per me uno spazio immenso di libertà e
riflessione, una disciplina per educare il pensiero, l’unica che
accetto. Quindi, a differenza di qualsiasi altro campo in cui sperimento
la scrittura, le storie dei miei romanzi mi vengono a cercare. A quel
punto ho solo due strade. O fuggo, o mi calo nel fondo di me stessa.
Il divoratore era stato venduto in sette nazioni prima ancora che Newton Compton inondasse le librerie nostrane, per La Colpa invece la vendita dei diritti all’estero come sta andando? Essere arrivata in finale allo Strega aiuta in questo senso?
Prima di vendere
La Colpa all’estero bisognerà vedere come procedono le vendite de
Il divoratore nei vari paesi che lo hanno acquistato. È ancora presto, staremo a vedere.
Qualche anticipazione riguardo il prossimo romanzo?
Ti dico solo che lo sto scrivendo con un entusiasmo folle, tutte le
volte che lavoro a un romanzo penso di metterci tutta me stessa, con
questo sto scoprendo invece quanto di me io abbia lasciato fuori negli
altri. Lo sento veramente come il mio romanzo più completo. È spero che
il prossimo a cui lavorerò metta in crisi quanto ho appena affermato.
Sui giornali si parla quasi esclusivamente di Ghinelli
scrittrice di romanzi, e proprio per questo motivo vorrei darti
occasione di fare il punto su Ghinelli scrittrice di sceneggiature. Ti
andrebbe di dire qualcosa?
Mi sono formata come sceneggiatrice, ti parlo proprio del mio
percorso di studi, ma per quanto sappia scrivere sceneggiature, e la
cosa mi diverta, la narrativa resta l’unica disciplina che veramente amo
in modo totalizzante. Mi permette tempi e profondità impensabili
altrove. Un’altra cosa che adoro fare è condurre corsi di scrittura, lo
scambio che si crea, le visioni del mondo che si mescolano e si
confrontano sono sempre speciali. E torno a casa con un entusiasmo
rinnovato. In un certo senso riesco a conciliare la mia formazione come
educatrice sociale con quella di narratrice.
Dopo il successo della serie Il tredicesimo apostolo, ora stai collaborando anche alla seconda stagione?
Per la seconda stagione ho avuto il piacere di firmare una puntata
assieme al mio amico e collega Filippo Kalomenidis, quest’inverno la
potrete gustare.
Hai visto su Youtube la parodia degli sceneggiatori di Lost?
State veramente seduti intorno a un tavolo a tirar fuori idee pazze e
visionarie, o è solo un’idea che si fa lo spettatore? Com’è la giornata
tipo dello sceneggiatore?
Quando lavoravo in Taodue con Editor interna e sceneggiatrice a tempo strapieno, era facile che si creassero atmosfere simili a
Boris,
ma ciò non era dovuto mai alla mancanza di professionalità del team,
quanto piuttosto al dovere rispettare per contratto orari rigidi e
fissi. In ogni mestiere si dovrebbe avere l’opportunità di produrre al
massimo quando le idee ci sono, il restante tempo, soprattutto nei
mestieri creativi, andrebbe dedicato allo studio e alla ricerca, da
svolgersi rigorosamente in privato. Altrimenti il rischio è produrre
storie tutte uguali. L’artista beve dal mondo, non può vivere murato in
una casa di produzione.
Prima per fare questo lavoro eri di stanza a Roma, ora sei tornata a casa. Si riesce a lavorare bene anche a distanza?
Quest’anno, in seguito alla mia candidatura allo Strega e alle
presentazioni quasi quotidiane del mio romanzo, ho dovuto compiere una
scelta, e la mia scelta è stata quella di dedicarmi a tempo pieno alle
mie idee. Proprio per questo non lavoro più come editor interna, non
sono in grado di garantire una presenza quotidiana. Lavoro quindi come
freelance, e la cosa, credimi, mi esalta. Con tutti i rischi che
comporta, come l’assenza di uno stipendio fisso, per esempio. La vita
che voglio fare mi impone diversi piccoli lavori, racconti su
commissione per esempio, sceneggiature, articoli, lezioni. E un tempo
infinito per raccontare le mie storie, studiare, imparare. Sono sempre
stata un po’ selvatica, Roma in questo senso non potrà mai essere casa
mia. Vivo a due passi dalla valle del marecchia, ho bisogno del mio wild
selvatico quotidiano. Quindi, per rispondere alla tua domanda, non
riesco a lavorare bene a distanza, e siccome lavorare, per me, significa
scrivere, ho sentito la necessità di tornare a casa. Qui, distante da
Roma, lavoro benissimo.
Si sa qualcosa dell’adattamento cinematografico de Il divoratore? Inoltre mi chiedevo: hai mai provato a scrivere una sceneggiatura per un film originale completamente frutto della tua penna?
A questa domanda risponderò tra due o tre mesi, ci sono cose che bollono in pentola…
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La Colpa:
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Di recente ho parlato anche de
Il cantico dei suicidi, un racconto di Lorenza pubblicato da Newton Compton. Per leggere il post,
clicca qui.
Intervista da me originariamente scritta per il settimanale
Fuori Le Mura.