Giada, Marcello e un po’ anche Luana, sono i protagonisti dell’ultimo
romanzo di Barbara Baraldi, “Lullaby – La ninna della morte”, edito da
Castelvecchi.
Giada, la Bambina Nera, è quel tipo che da bambina si apprezza tanto e
poi, ma con la quale, man mano che cresce, non si vuole più avere niente
a che fare.
Marcello non è solo il classico scrittore fallito senza futuro, ma è il
re di questa razza, visto che è costretto a mantenersi con la pensione
della madre.
Luana è la perfezione, la Principessa dell’Est, bionda, splendente,
senza apparenti problemi. Dopo tutto queste persone vivono in un mondo
ovattato dove niente le scalfisce.
Si potrebbe attribuire la colpa per quello che succede in questo
romanzo all’insegnante di Giada e Luana, che le unisce nello stesso
banco, ma sarebbe troppo semplice e poi non è davvero così.
Potremmo attribuire la colpa a Marcello, disperato, che si è no inchioda
due parole su word dopo aver fissato per ore lo schermo e dopo aver
dato le medicine a “mammà”, ma lui no, lui è solo un punto fermo al
quale aggrapparsi, qualcosa di semplice e sensato in una tempesta che
colpisce un piccolo luogo di periferia.
Sta di fatto che questa recensione non vi svelerà nulla, perché con
un ottimo alternarsi di linguaggio in prima e in terza persona, e un
susseguirsi di capitoli brevi e interessanti nel cui titolo è presente
il nome del personaggio che reciterà in quei paragrafi, la Baraldi
dimostra di saper tenere incollato il lettore alle proprie pagine,
quindi dovrete leggerlo.
Pure se vi trovaste nell’intenzione di dover posare questo libro per
qualche motivo di «ordine superiore», sfogliando le pagine successive
noterete che il prossimo capitolo è lungo quanto la lista della spesa
del cenone di Natale e, imbarazzati per la vostra volubilità,
continuerete a leggere pensando “Ok, ancora un po’ e mi fermo”, ma poco
più avanti lo stesso pensiero vi balenerà nuovamente in testa.
A seguire, una breve intervista a Barbara Baraldi:
- Quando scrivi un libro da cosa parti e come inventi la
storia? Nel caso di “Lullaby”, oltre alla canzone dei The Cure, da cosa
hai tratto ispirazione?
BB: Proprio la canzone dei Cure è stata la principale fonte
d’ispirazione del romanzo. Immaginavo due ragazze che ballavano un tango
al ritmo della canzone. Dalla penombra della stanza, è emerso un mondo
intero di atmosfere soffocanti, aspirazioni e desideri inconfessabili
che descrivevano perfettamente la realtà che avevo intorno: le ipocrisie
della società, la violenza della cronaca che entra nelle case come un
ariete attraverso la televisione. E così mi sono trovata al bar con
Marcello e Fede, nel mezzo di una accesa discussione. Un anonimo bar di
paese, dietro la cui apparente normalità tutto può succedere.