
Abbiamo avuto modo di intervistare Claudio Volpe, autore alla sua prima pubblicazione con il romanzo
Il vuoto intorno, edito dalle edizioni
Il Foglio Letterario.
Un libro di cui, a breve, verrà tratta un’opera teatrale. Un libro
crudo e forte, di cui avrete la possibilità di capire qualcosa leggendo
quest’intervista.
Claudio Volpe, ventunenne, scrittore esordiente. Come ti suona questa frase?
Strana. Per l’esordiente non c’è alcun problema. È lo “scrittore” che
mi spaventa. Mi piacerebbe sicuramente esserlo pienamente ma per ora
diciamo che sto iniziando a percorrere la lunga strada della parola, del
pensiero, dei versi, delle immagini, delle storie raccontate con forza e
rispetto. Esordire a vent’anni è sicuramente una grande emozione, farlo
a certi livelli ancora di più ma è anche un grande impegno, una grande
responsabilità. Un pensiero fisso per il resto della vita. Devi riuscire
a non smentirti, a non ripeterti e a non deludere nel futuro. Ma anche
il presente è un bel rischio. Devi dimostrare che a vent’anni, che
nonostante i vent’anni, hai qualcosa da dire, da dimostrare, da far
comprendere al pubblico dei lettori, all’altro. Bisogna convincere i
lettori adulti che un ragazzo di vent’anni è in grado di scrivere
qualcosa di interessante, qualcosa che probabilmente neanche scrittori
veterani e affermati sarebbero in grado di scrivere, e al contempo
convincere i lettori giovani, della tua stessa età, che tu, proprio come
loro hai infiniti mondi dentro, racchiusi uno dentro l’altro come le
matrioske. La giovane età, l’inesperienza, la follia, la non ancora
avviata degenerazione verso la disillusione sono un vantaggio. Un
valore.
Gordiano Lupi, un editore che scommette sui giovani. Quanto è stato emozionante venire a sapere che ti avrebbe pubblicato?
Molto, forse troppo. Io ho avuto davvero poca possibilità di rendermi davvero conto che
Gordiano Lupi,
il Gordiano lupi de Il Foglio letterario, de la Stampa e traduttore per
l’Italia di Yoani Sanchez, aveva deciso di pubblicarmi e mi aveva
telefonato dopo soli tre o quattro giorni dall’invio del mio
manoscritto. È avvenuto tutto così velocemente da stordirmi… Forse me lo
sono meritato però… è quello che mi dicono coloro che già hanno letto
Il vuoto intorno: “Mi hai stordito con questo romanzo… ora devo respirare”.
L’inferno e il paradiso sono una tematica trattata da migliaia di anni; la tua idea, che è originale, com’è arrivata?
Non credo che sia arrivata. È sempre stata lì dentro di me. Inferno e
paradiso, male e bene, morte e risurrezione sono da sempre dentro di
noi, dentro l’uomo anche se qualcuno finge o cerca disperatamente di non
accorgersene. Ognuno di noi è fatto di male e di bene, e male e bene
hanno entrambi un’importanza fondamentale. Il bene c’è perché esiste il
suo opposto, il male, che permette di poterlo riconoscere. Come la luce
che esiste solo perché è in grado di prendere il posto del buio. Il
romanzo racconta la storia di distruzione di un ragazzo padre che sente
il bisogno di annientare se stesso e la propria dignità per poter
rinascere e acquisire nuova e compiuta consapevolezza di sé. È la storia
di tante vite storte, sbagliate, assurde dove l’oscenità e la follia
divengono un valore, la salvezza dalla morte. La salvezza dal nulla.
Era tua intenzione far riflettere il lettore, o sono solo parole capitate nel giusto contesto narrativo?
Era mia intenzione far riflettere e “disturbare” il lettore, fargli
sentire il male della storia nella pelle, nelle vene, nella mente perché
la vita, come la parola, colpisce non solo al cuore ma anche al corpo.
La scrittura è una gioia dolorosa, un sentire straripante che ti spinge
ad andare avanti nonostante il male che si può incontrare.
Un libro che è venuto fuori in 10 giorni, poi, quanto ci hai messo per la riscrittura?
Anche per la riscrittura ho impiegato poco tempo. Il lavoro di
correzione e riscrittura che ho fatto è stato diretto principalmente ad
attuare una ripulitura stilistica del testo. Ho smussato alcuni spigoli
(pochi perché volevo che questo romanzo fosse appuntito), ho risolto
alcune incongruenze nella trama che inevitabilmente sono venute fuori e
ho letto e riletto tante volte ad alta voce il testo per sentirne il
suono. Il genere di romanzi che amo sono quelli che assomigliano ad una
lunga poesia. Musicalità alternata a singhiozzi, velocità mista a
pesantezza. Volevo che le parole avessero un loro peso, una loro
importanza e una loro corposità. Solo quando hanno una loro consistenza
materiale le parole sono in grado di colpire, di entrare dentro,
nell’anima e di scavarvi con forza.
Prossime presentazioni?
Il 2 settembre sarò ad Agropoli, il paese dove per una parte è
ambientato il romanzo, nell’ambito del “Settembre culturale al
castello”, un’importante manifestazione culturale della durata di un
intero mese dove l’arte in tutte le sue manifestazioni sarà protagonista
indiscussa. Tra settembre e ottobre ci sarà una nuova presentazione a
Pontinia al Teatro Fellini dove
Il vuoto intorno diverrà anche uno spettacolo teatrale. Poi ci saranno le date di Latina, Roma, forse Torino e Milano e spero tante altre.
I tuoi autori preferiti?
Amo la letteratura italiana perché ha la caratteristica, di solito,
di non essere veloce e disimpegnata. Amo gli autori le cui opere hanno
un certo peso al loro interno, il peso del dolore dell’uomo, della
ricerca della propria dignità, della vita. Amo le storie contundenti che
ti stordiscono. Cerco di leggere un po’ di tutto, sia per quanto
riguarda i generi letterari che gli autori. La mia autrice contemporanea
preferita è senza dubbio la Mazzantini. Non so spiegarne il perché: è
così e basta. Tra gli autori passati apprezzo molto Pirandello e il suo
pensiero profondo, la sua acutezza.
Cos’hai sul comodino?
Una pila di circa venti libri acquistati durante questi giorni e in attesa di essere letti. In cima c’è
Sangue di cane della
Tomassini. L’ho iniziato a leggere e lo trovo davvero speciale, di rara
bellezza, spero di poterlo terminare a breve (università permettendo).
Alla base della pila ci sono una serie di romanzi russi che ho deciso di
leggere durante l’estate. Non l’ho ancora fatto. Credo che ogni libro
richieda una specifica preparazione e uno specifico momento della vita
per essere letto.
Come ti vedi da qui a cinque anni?
Per ora non mi vedo. Vivo quello che viene. Talvolta siamo così presi
dal pensare a come progettare il futuro che finiamo per dimenticarci
della bellezza del presente. Dimentichiamo di dover essere felici per
quello che ci accade nell’ora, nell’adesso. È vero che il futuro è ciò
che maggiormente ci interessa perché è il posto nel quale dobbiamo
passare il resto della nostra vita, ma è pur vero che il presente ha il
suo perché. Il presente è la chiave che apre la porta verso il futuro.
Una domanda che avresti voluto ti facessi?
“Perché nel tuo romanzo si parla così tanto del dolore?” Se mi avessi
fatto questa domanda ti avrei risposto che parlare del dolore è
necessario, indispensabile. Il dolore, come il male, gambizza l’uomo, lo
rende un animale, una cosa, lo priva della sua dignità. Mariapia
Veladiano, finalista al Premio Strega di quest’anno, in una sua
presentazione ha detto che l’unica soluzione per evitare che il male si
propaghi è farlo morire in sé, accettarlo dentro di noi e bloccarlo,
ibernarlo, farlo morire evitando così che esso passi ad infettare
qualcun altro. Ecco, io credo che scrivere e parlare del dolore sia un
buon modo per iniziare a far morire il male in sé. Far finta di niente,
fingere che il dolore non esista o che sia solo transitorio in virtù
della ricerca di un antidestino nel quale l’uomo, smettendo di essere
tale, si proietti verso l’immortalità e verso il mito della salute
perfetta, non ha alcun senso. L’uomo è meraviglioso proprio perché
mortale e precario. La precarietà dà valore alla vita perché la rende
preziosa. L’imperfezione è un vantaggio. È in essa che risiede la
dignità di ognuno di noi.
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